
C’è stato un tempo in cui le spiagge erano un luogo di riposo. Nell’era del turismo estremo e dei cambiamenti climatici i viaggiatori hanno però bisogno di altre emozioni. A Kukulcan, in Messico, si innalzano ormai hotel fantasma, costruzioni fatiscenti, infestate da piante e topi, battute da una pioggia pressoché incessante. In questa atmosfera di devastazione e agonia, Mario Müller inventa un’ultima, visionaria possibilità di guadagno, il piacere della paura, e nell’hotel che dirige, La Piramide, offre ai propri ospiti pericoli controllati, per trasformare le loro ansie in realtà collaudata: simulazioni di sequestri, ragni velenosi, finte guerriglie. Ma, come sempre accade, non tutto va per il verso giusto e un giorno qualcuno muore.
Juan Villoro riesce a dare corpo a una realtà distopica grazie a questo singolare thriller tropicale che è anche una storia di amicizia, colpa e redenzione, capace di raccontare con corrosive descrizioni il lato più complesso e contraddittorio dell’animo umano. Un romanzo che il quotidiano spagnolo «La Vanguardia» ha eletto tra i migliori del 2012.
Vincitore del Premio de Narrativa José María Arguedas 2014
Finalista al Premio Rómulo Gallegos 2013
Nella longlist del Premio Gregor von Rezzori 2014 – Migliore opera tradotta –

Galilea è un vecchio e decadente latifondo situato nel sertão, una regione del Brasile settentrionale arida e poverissima, dove il boom economico degli anni Duemila tarda ad arrivare e i bambini continuano a vendersi per pochi soldi nelle rare stazioni di servizio. Da qui, chiunque ne abbia la possibilità scappa per studiare o cercare fortuna altrove, sulla costa, negli Stati Uniti o in Europa. E così hanno fatto anche i numerosi discendenti di Raimundo Caetano, dispotico patriarca di Galilea e rigido osservatore delle Sacre Scritture, da anni gravemente malato. Ma ora che le sue condizioni appaiono disperate, tre dei suoi nipoti ritornano nella fazenda per salutare un’ultima volta il nonno morente. L’incontro con il resto della famiglia, con lo spazio e la geografia brasiliani innesca nei tre un flusso inarrestabile di ricordi, una memoria individuale che si fa collettiva ma che risulta inesorabilmente compromessa, frammentaria, mutevole, “perché quando ci allontaniamo dalle nostre origini, l’incontro con il passato è doloroso, quasi impossibile”.
Il dono della menzogna è una saga famigliare, un romanzo di viaggio dagli echi biblici, una riflessione sul Brasile del biodiesel e dei viados, un intimo e indimenticabile omaggio alla saudade.

«C’erano rimasti soldi per una sola quesadilla».
«E non ve la siete divisa, da bravi fratelli?»
«Ci siamo presi a pugni per vedere chi se la mangiava».
«Eccellente. Vuoi lavorare con me?»
«Che cosa fa?»
«Il politico».
Lagos de Moreno, Messico, fine anni Ottanta: in una catapecchia alla periferia del paese vivono il tredicenne Oreste e la sua scombinata famiglia. Il padre, professore di educazione civica, predica le virtù elleniche e si esercita ogni sera nell’arte dell’insulto ai politici, mentre la madre sforna quesadillas a ciclo continuo nel tentativo di sfamare la numerosa prole, “esseri semirrazionali oscillanti tra i quindici anni di Aristotele, il maggiore, e i cinque dei finti gemelli, Castore e Polluce”. Un giorno, Oreste diviene testimone della rivolta che paralizza il suo paese dopo l’ennesima frode elettorale. Nel caos Castore e Polluce scompaiono, spingendo così Oreste e Aristotele ad allontanarsi anch’essi per cercare i finti gemelli. È l’inizio di un’avventura picaresca che porterà Oreste a imbattersi in processioni di pellegrini e in un politico che lo educherà alla seducente arte della menzogna, un percorso visionario al termine del quale il nostro piccolo eroe imparerà qualcosa sulla lotta di classe, la realtà e il potere della fantasia.
Racconto lucido ed esuberante, che ricalca, in chiave surreale, la struttura di una tragedia greca, Se vivessimo in un paese normale è una critica alla società messicana che diventa parabola universale e che suggerisce uno spazio di ribellione all’assurdità del presente.