Yona Friedaman: ogni utopia è realizzabile • incontro con Manuel Orazi (Quodlibet) da Kindustria • Venerdì 20 aprile ore 19:00 •

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> Utopie realizzabili (Quodlibet) * Tra i numerosi testi teorici pubblicati da Yona Friedman – in campi differenti, dalla sociologia alla fisica – Utopie realizzabili (scritto nel 1974) si presenta come un’apparente contraddizione in termini. Eppure avverte Friedman, credere in un’utopia ed essere contemporaneamente realisti non è una contraddizione, «un’utopia è, per eccellenza, realizzabile» a condizione di ottenere il necessario consenso collettivo perché un’utopia imposta con la forza non è più tale. Un’utopia generosa e non paternalista non può essere realizzata da una massa: solo i piccoli gruppi possono farlo perché solo al loro interno la comunicazione diretta è efficace: «La comunicazione generalizzata è quindi possibile solo quando i fatti da comunicare sono già noti a tutti in precedenza; non è possibile per propagandare idee nuove». La critica radicale della comunicazione globale – abbozzata ben prima dell’avvento di Internet – e la teoria del “gruppo critico”, argomentate con un linguaggio piano e razionale, sono forse i risultati principali di questo studio che oltre alla teoria offre delle regole per la sua applicazione. Dopotutto la fiducia di Friedman quasi messianica nei piccoli gruppi di oggi, che saranno le maggioranze del futuro, riflette quanto aveva già constatato Robert Musil: «ma utopia ha pressappoco lo stesso significato di possibilità […] Il presente non è altro che un’ipotesi ancora non superata».

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Utopie realizzabili // Traduzione di Susanna Spero // Postfazione di Manuel Orazi

Tetti (Quodlibet) * Dopo una lunghissima gestazione, vede finalmente la luce Tetti. Scritto a partire dagli anni Settanta, raccoglie informazioni pratiche (testate per l’Unesco dall’autore stesso) sulla costruzione di tetti e ripari, che intendevano venire incontro alle esigenze materiali dei poveri nei Paesi del Terzo mondo. Si tratta di un’opera strutturata in modo composito, poiché costituita di manuali scritti autonomamente l’uno dall’altro, e felicemente rappresentativa della maturità di Friedman, che già in quegli anni aveva deciso di focalizzare i suoi interventi sulle modalità di inclusione degli abitanti nella progettazione del loro habitat, in quanto «la partecipazione non è spontanea e non può essere rivendicata di punto in bianco». Se Utopie realizzabili rappresenta la summa teorica di questo intenso periodo dell’architetto franco-ungherese, i manuali costituiscono il principale strumento comunicativo destinato a rendere concrete quelle utopie.
I manuali si compongono di disegni essenziali, «da lavagna», che possono essere letti e interpretati anche da persone illetterate – circostanza che convinse Indira Gandhi a stamparne un grande numero di copie e contribuì all’istituzione del Museum of Simple Technology fondato da Friedman a Madras, l’attuale Chennai, alla metà degli anni Ottanta.
In Tetti, l’autore sottopone all’attenzione dei suoi lettori il dato di fatto che i diversi problemi delle città moderne sono il risultato di atteggiamenti irresponsabili nei confronti della terra. Questa tesi, come Andrea Bocco spiega nel saggio in chiusura del volume, era perfettamente in linea con il pensiero di alcuni architetti (fra i quali ricordiamo Christopher Alexander, Enzo Mari, Victor Papanek e Bernard Rudofsky) che in quel momento storico esprimevano una forte critica verso la società industriale. Inoltre, l’autoprogettazione che Friedman ha sempre cercato di promuovere era in sintonia anche con l’idea di convivialità perseguita dal suo «compagno segreto», Ivan Illich. Questo irregolare pensatore mitteleuropeo, con cui in quegli anni aveva stretto amicizia, riteneva infatti che la convivialità fosse «il contrario della produttività industriale», e che l’architettura potesse essere, appunto, uno strumento conviviale, in grado di consentire agli uomini di partecipare attivamente alla creazione della vita sociale. Creandola con le proprie mani.
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«I problemi della casa non riguardano solo i poveri. Vogliamo proporre soluzioni interessanti per tutte le società. Ma poiché dobbiamo stabilire delle priorità, abbiamo privilegiato le tecniche accessibili alle persone più povere».

Yona Friedman // Tetti // A cura di Andrea Bocco